Italia - Rassegna stampa settimanale dal 21 al 26 settembre 2024

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Le news tributarie più importanti della settimana raccolte dai professionisti di Fidinam Italia in materia di: Legislazione, Giurisprudenza, Prassi, Dottrina & Attualità.

Legislazione

  • Schema di D.Lgs. attuativo della direttiva UE 2020/285, commentato in: “Forfettari, dal 2025 fattura semplificata oltre i 100 euro”, IlSole24Ore del 25.9.2024, pagina 34: I contribuenti forfettari potranno emettere fatture semplificate, indipendentemente dall’ammontare dell’operazione, a partire dal 2025. Lo schema di Dlgs in oggetto ha già incassato il parere favorevole delle Commissioni Bilancio, Finanze e Politiche dell’Unione europea alla Camera e dopo la conclusione dell’iter parlamentare tornerà in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. La fattura semplificata rispetto a quella ordinaria prevede l’indicazione solo di dati essenziali; oltre alla data di emissione, al numero e ai propri dati, il cedente/prestatore deve indicare: i dati del cessionario/committente limitandosi anche alla sola partita Iva o codice fiscale per i soggetti residenti e per quelli stabiliti in UE; la descrizione dei beni ceduti e dei servizi resi senza bisogno di indicare puntualmente natura, qualità e quantità come accade per la fattura ordinaria; l’ammontare del corrispettivo complessivo e dell’imposta incorporata (o dei dati che permettono di calcolarla, quale l’aliquota di imposta); per le note di variazione, il riferimento alla fattura rettificata e le indicazioni specifiche che vengono modificate. Lo schema di decreto legislativo è attualmente all’esame delle Commissione Parlamentari e l’entrata in vigore, come anticipato, è prevista per il 2025. Si ricorda, infine, che è previsto anche l’introduzione di un regime di franchigia IVA transfrontaliero, che consente ai soggetti che applicano il regime forfettario nel territorio dello Stato di applicarlo anche nel territorio degli altri Stati membri che hanno adottato un analogo regime.
  • Emendamento al Ddl. di conversione del decreto-legge n. 113/2024 (decreto “Omnibus”), commentato in: “ANC: “Serve più tempo per l’adesione al concordato preventivo”, Il Quotidiano del Commercialista del 26.9.2024: L’introduzione di ulteriori modifiche alla disciplina del concordato preventivo biennale rende più che mai urgente un intervento finalizzato a prorogare la scadenza del 31 ottobre per la comunicazione dell’adesione da parte dei contribuenti. La richiesta arriva dall’Associazione Nazionale Commercialisti che, ha ricordato come la normativa potrebbe nuovamente cambiare a seguito della presentazione di un emendamento al Ddl. di conversione del decreto-legge in oggetto, attualmente all’esame del Senato per la conversione in legge. L’emendamento in questione prevede l’avvio di un ravvedimento speciale per i contribuenti che decideranno di aderire al CPB, per un periodo che, nella prima versione dell’emendamento, andava dal 2018 al 2023, ridotto poi di un anno (2018-2022) con l’ultima riformulazione. In più, vengono ampliati i tempi a disposizione dell’Agenzia per controllare le posizioni dei soggetti che decadono dal beneficio. Nello specifico, i termini di decadenza dell’accertamento in scadenza dal 31.12.2024 al 31.12.2026 sarebbero portati al 31.12.2027. Novità che, qualora dovessero essere confermate nel testo della legge, impongono ai contribuenti ulteriori valutazioni sull’opportunità di aderire o meno al concordato. Per questo, secondo l’ANC, la scadenza del 31 ottobre è più che mai inadeguata. In un’altra nota stampa, diffusa sempre nella giornata del 25.9.2024, l’Unione giovani si è invece soffermata sulle “indebite” pressioni dell’Amministrazione nel tentativo di convincere i contribuenti ad accettare la proposta del Fisco. Negli ultimi giorni, infatti, sarebbero stati recapitati, nell’area comunicazioni del Cassetto fiscale dei contribuenti, degli inviti ad aderire al concordato.

Giurisprudenza

  • Sentenza Corte di Cassazione n. 35339 del 20.9.2024, commentata in "Continuità normativa per la nuova confisca tributaria", Il Quotidiano del Commercialista del 21.9.2024: Nell’ambito della confisca tributaria, la disposizione dell’art. 12-bis co. 2 del D.Lgs. 74/2000, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro”, deve essere intesa nel senso che il sequestro preventivo preordinato alla confisca, così come quest’ultima, possono essere adottati anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Ciò comporta che il sequestro e la conseguente confisca debbano essere conservati fino all’integrale effettivo pagamento della somma evasa, potendo le rate già versate essere considerate solo ai fini della riquantificazione della misura. Secondo la sentenza in oggetto, la situazione non sembra essere radicalmente mutata a seguito della riforma recata dal D.Lgs. 87/2024. Il nuovo testo prevede sì che il sequestro preventivo a fini di confisca non sia disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, e il contribuente risulti in regola con i pagamenti, ma sempre che non “sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato”. In altri termini, questa disposizione conferma esplicitamente che, anche in caso di impegno ad adempiere i debiti tributari mediante procedure conciliative o di accertamento con adesione e di regolarità del pagamento delle rate maturate, il sequestro preventivo a fini di confisca può comunque essere disposto se sussiste il c.d. “periculum in mora” (cioè, il pericolo di dispersione del profitto criminoso).
  • Ordinanza Tribunale di Venezia del 21.2.2024, commentata in "Termini fissati dal codice civile per impugnare le delibere di esclusione dei soci di srl", Il Quotidiano del Commercialista del 23.9.2024: Il Tribunale di Venezia, nell'ordinanza in oggetto, ha stabilito che, una volta affidato in via statutaria il compito di deliberare l'esclusione del socio per giusta causa (ex art. 2473-bis c.c.) all'assemblea, sono da applicare le correlate regole generali in tema di impugnazione. Rileva, quindi, l'art. 2479-ter c.c., che, nel disciplinare l'impugnazione delle delibere assembleari di srl, assegna il termine di 90 giorni (salvi casi nella specie non ricorrenti). Si tratta di un termine perentorio stabilito per assicurare agli interessati un margine adeguato a valutare un’impugnazione. Una volta che il legislatore ha ritenuto congruo per le impugnative in materia di decisioni assembleari di srl il termine di 90 giorni, un termine minore deve ritenersi produttivo di eccessiva difficoltà nella tutela del diritto. Di conseguenza, il minor termine indicato nello statuto deve ritenersi irrilevante. Analogamente, peraltro, avrebbe dovuto ragionarsi qualora lo statuto avesse rimesso la decisione di esclusione all'organo amministrativo. In tal caso, infatti, in assenza di indicazioni nella disciplina delle srl, sarebbe stato da applicare quanto disposto in tema di invalidità delle delibere del cda di una spa dall'art. 2388 c.c., impugnabili anch'esse nel termine dei 90 giorni dai soci che, per il loro tramite, vedano leso un proprio diritto.

Prassi

  • Risposta ad istanza di interpello n. 165 del 1.8.2024, commentata in "Rinuncia alla posizione di beneficiari del trust a rischio liberalità indiretta", Il Quotidiano del Commercialista del 27.9.2024: La risposta ad interpello in oggetto verte sul caso di estinzione di un trust regolato dalla legge di Jersey per sopravvenuta inutilità della destinazione, a seguito della rinuncia da parte dei beneficiari tutti alle proprie posizioni di vantaggio nascenti dal trust. L’effetto delle rinunce, fatte ai sensi dell’art. 10 (A) della legge regolatrice, è l’estinzione del trust per il venir meno della finalità destinataria e il risultato conseguente è quello della retrocessione dei beni apportati dal trustee al disponente. L’Amministrazione ha rilevato come nel caso di specie l’atto di rinuncia alla posizione di beneficiario da parte di tutti i beneficiari comporti la cessazione del trust e il rientro del disponente nella titolarità degli immobili. Si è ritenuto che la retrocessione non costituisca un trasferimento di ricchezza, tale da integrare il presupposto del D.Lgs. n. 346/1990 (Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni). L’atto, così, è da ritenersi soggetto all’imposta di registro in misura fissa, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata. L’Agenzia, però, nelle sue conclusioni si sofferma soltanto sull’effetto finale della retrocessione dei beni al disponente, ma non rileva che “a monte” l’atto della rinuncia (alla propria posizione beneficiaria) da parte dei beneficiari è un atto dismissivo di una posizione di vantaggio, funzionalmente neutro sotto il profilo dell’onerosità o della gratuità, ma che ben può celare la realizzazione di una liberalità indiretta (tassabile ex artt. 1 e 56-bis del D.Lgs. 346/90). I beneficiari, quindi, rinunciando alla propria posizione beneficiaria potrebbero, alle volte, dismettere soltanto la propria posizione di vantaggio ma, in altri casi, potrebbero essere animati anche da uno spirito liberale nei confronti del disponente. In questi casi, quindi, l’operazione sarebbe a rischio di tassazione. La rinuncia, poi, come detto, è atto di per sé neutro e solo l’indagine delle concrete circostanze potrà rivelare se sia stata fatta o meno con spirito liberale. Per questa ragione, si ritiene opportuno valutare, volta per volta, le circostanze concrete in cui si è sviluppata la rinuncia, evitando di prendere per “assolute” le conclusioni raggiunte dall’Amministrazione finanziaria con l’interpello in commento.

Dottrina

  • Neo residenti, la sfida è attrarre nuovi investitori”, IlSole24Ore del 21.9.2024, pagina 26: La normativa sui neo-residenti ha lo scopo di attrarre cittadini benestanti residenti all’estero dai quali in ogni caso non saremmo in grado, né avremmo motivo, di avere alcun incasso tributario in quanto i redditi sono prodotti al di fuori dell’Italia. La copertura fiscale riguarda esclusivamente redditi e patrimoni esteri e fino allo scorso 10 agosto permetteva al fisco italiano di incassare forfettariamente 100 mila euro all’anno, ora raddoppiata a 200 mila euro. La flat tax evita la tassazione sui patrimoni finanziari esteri (Ivafe) e sugli immobili detenuti all’estero (Ivie). Il vantaggio per l’Italia oltre ai nuovi incassi fiscali è attrarre residenti ad elevato tenore di vita che consumeranno beni e servizi. La scelta dell’Italia per i nuovi residenti è motivata dalla qualità di vita superiore ad altri paesi a parità di efficacia fiscale: consumatori d’eccellenza attratti dai settori in cui ci distinguiamo quali turismo, enogastronomia, cultura, lusso, moda. La misura ha avuto successo in termini numerici e talvolta si è trasformata in investimenti in immobili di pregio in Italia. Le conseguenze per la nostra economia di questi investimenti sono imposte pagate (ipotecarie, catastali e registro), lavori di ristrutturazione e spesa negli ambiti in cui l’offerta italiana primeggia, dando molte occasioni di lavoro. Tuttavia, la normativa, limitando forfettariamente la tassazione sui beni e redditi rimasti all’estero, non incide sul come spingerli a trasferire il loro patrimonio e ad investire in Italia. Aumentando la flat tax si perde una fascia di cittadini assai più numerosa rispetto a chi ha patrimoni superiori ai 16 milioni. Il raddoppio della tassazione probabilmente più che dimezzerà i flussi senza incrementare gli incassi per l’erario, ma con un crollo del nuovo consumo in Italia. Finora abbiamo attratto nuovi residenti ad alto reddito per i loro consumi ma non li abbiamo incentivati ad investire, anzi li abbiamo penalizzati nel caso decidano di trasferire le loro finanze. Raddoppiando l’imposizione mettiamo solo un freno a nuovi arrivi.
  • Cripto-attività al bivio tra imposta di bollo e Ivaca”, IlSole24Ore del 23.9.2024, pagina 28: La Legge di Bilancio 2023 ha esteso il regime dell’imposta di bollo proporzionale (2 per mille annuo), originariamente previsto per i “prodotti finanziari”, anche alle cripto-attività detenute dai clienti residenti in Italia presso i Crypto-asset service provider (Casp). Alternativa all’imposta di bollo, quando non c’è un intermediario residente, è la nuova imposta sul valore delle cripto-attività (Ivaca), anch’essa applicata nella misura del 2 per mille in capo ai soggetti residenti che detengono cripto-attività presso intermediari non residenti o archiviate su chiavi Usb, Pc e smartphone. Il dualismo tra imposta di bollo e Ivaca nelle cripto-attività genera una serie di criticità, anche dopo i chiarimenti forniti con la circolare 30/E/2023 e la risposta a interpello n. 181/2024. In primo luogo, mentre per l’imposta di bollo il soggetto passivo del tributo sembra coincidere con il Casp o altro operatore finanziario che detiene le cripto-attività, per l’Ivaca il soggetto passivo è il possessore stesso delle cripto-attività. La presenza di un intermediario residente (i Casp possono solo essere soggetti residenti o stabili organizzazioni di operatore stabilito in un altro Stato membro), iscritto nel Registro operatori valute virtuali presso l’Organismo agenti e mediatori (Oam), dovrebbe escludere in radice nella grande parte dei casi l’applicazione dell’Ivaca da parte dell’utente, trovando applicazione la sola imposta di bollo. Ciò, indipendentemente dal fatto che il Casp o altro operatore finanziario abbia effettivamente pagato la relativa imposta di bollo.

Attualità

  • 2024: Quel che resta di Hong Kong”, Panorama del 25.9.2024, pagina 44: La città che non dorme mai è entrata in coma farmacologico, sedata dal Grande Anestesista della democrazia asiatica, il presidente cinese Xi Jinping. Hong Kong non è più la vitale capitale del divertimento e della finanza d'Oriente, restituita nel 1997 dalla Gran Bretagna al regime comunista di Pechino dietro la promessa di rispettarne, per cinquant'anni, indipendenza, istituzioni e democrazia, secondo la formula: “Un Paese, due sistemi”. Oggi è una città cinese come tutte le altre tanto da convincere il Financial Times a titolare un recente reportage: Hong Kong è finita. Nel giro di un lustro, sono stati quasi 150 mila gli hongkonghesi che hanno abbandonato casa e lavoro per approdare verso altri lidi, sostituiti da flussi migratori di cinesi provenienti dal continente che ne hanno preso il posto. L’economia non va meglio: la Borsa segna continui record negativi e le multinazionali straniere stanno traslocando dopo le abbuffate del secolo scorso. Il mercato immobiliare sta precipitando: si moltiplicano di giorno in giorno le svendite di appartamenti e uffici che fino a qualche tempo fa erano quasi inaccessibili peri prezzi alla quasi totalità della popolazione. Interi edifici sono desolatamente vuoti mentre le associazioni di inquilini protestano per gli affitti che, invece, non smettono di crescere nell'indifferenza della politica che non vuole mettersi contro i ricchi e influenti imprenditori del settore. Hong Kong ha perso il tocco magico se addirittura rischiano di chiudere per mancanza d'affari le tre “ambasciate” in terra americana: a Washington, New York e San Francisco. Né sembra baciata dal successo l'iniziativa di trasformare la regione in un hub globale per le criptovalute: finora ci sono solo due piattaforme autorizzate. Troppo poco per tentare di lanciare l'assalto a un mercato mondiale in continua evoluzione.
  • Niente case, siamo inglesi”, Panorama del 25.9.2024, pagina 46: Case, disperatamente, cercansi. Non con la piscina riscaldata o altre amenità. Semplicemente un tetto sulla testa che non sia transitorio, una stanza che non costi un occhio della testa, un posto degno di venir chiamato home. Mai nella sua storia il Regno Unito ha vissuto una crisi abitativa come quella attuale. Il numero dei senzatetto nel Paese ha raggiunto livelli record. Secondo le ultime stime (marzo 2024) del ministero per la Casa, le Comunità e le Autorità locali, solo in Inghilterra sono più di 300 mila le persone che non hanno una dimora fissa e la percentuale di popolazione che passa la notte all'addiaccio ha subito un incremento del 120%. Impossibile misurare esattamente un fenomeno che per definizione sfugge ai conteggi ufficiali, ma più ancora delle cifre parlano le cronache, le manifestazioni degli inquilini sfrattate quelle degli studenti internazionali che sempre più spesso non riescono a permettersi un alloggio decente. In agosto, un reportage della Bbc ha diffuso le immagini di una tendopoli sorta nel cuore di Londra: lungo Park Lane, nel lussuoso quartiere di Mayfair, tra Hyde Park e Marble Arch, sullo spazio erboso visibile dalle ville miliardarie di fronte. Quando i giornalisti della televisione sono andati a verificare che cosa succedeva hanno contato 24 tende con gente seduta ai tavolini, che si godeva i pochi sprazzi di sole di un'estate avara. Un campeggio “esclusivo”, se si pensa che l'hotel Dorchester, letteralmente a due passi, offre camere da mille euro a notte. Subito dopo il reportage dei media, che ha fatto il giro del mondo, l'Authority per i Trasporti di Londra, incaricata di gestire l'area, ha dichiarato di non essere mai stata a conoscenza della sua esistenza comunicando di aver intrapreso le vie legali per farli sgomberare. Peccato che i primi video sul campo di Park Lane siano presenti su YouTube da almeno tre anni e, a quanto sembra, la tendopoli sia lì da almeno sette anni. Anche se venisse del tutto eliminata per la gioia delle concessionarie di auto di lusso che affollano la via, altre ne esistono già e nuove ne sorgeranno, nella capitale che ha il più alto numero di senzatetto di tutta l'Inghilterra sebbene il sindaco Sadiq Khan abbia fatto costruire, dal 2018 in poi, più del doppio delle abitazioni popolari di tutte le autorità locali messe insieme.

 

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