Italia - Rassegna stampa settimanale dal 30 agosto al 4 settembre 2024

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Le news tributarie più importanti della settimana raccolte dai professionisti di Fidinam Italia in materia di: Legislazione, Giurisprudenza, Prassi, Dottrina, Attualità

Legislazione

  • Schema di D.Lgs. attuativo delle direttive UE 2020/285 e 2022/542, commentato in: “Eventi in streaming con IVA in Italia se vi risiede l’utente finale”, Il Quotidiano del Commercialista del  6.9.2024: Lo schema di D.lgs in oggetto, approvato in via preliminare dal CdM il 7.8.2024 e trasmesso alle Camere per i pareri delle Commissioni competenti, prevede l’aggiornamento delle regole di territorialità, di cui all'art. 7-quinquies del DPR 633/72, per le prestazioni riferite ad attività che sono trasmesse in streaming o rese virtualmente disponibili. L'intervento intende recepire la direttiva 2022/542/UE, modificativa della direttiva 2006/112/CE, applicabile a decorrere dall'1.1.2025. Il tenore dell’art. 7-quinquies modificato, nella versione attualmente prevista dallo schema di decreto, differisce dal testo dell’art. 54 della citata direttiva, il quale considera dette prestazioni eseguite nel luogo ove la persona che non è soggetto passivo “è stabilita oppure ha l’indirizzo permanente o la residenza abituale”. Il nuovo criterio di territorialità si renderà applicabile anche ai servizi B2C di accesso agli eventi trasmessi in streaming o resi disponibili virtualmente. Invece, per i servizi di accesso B2B, viene esplicitato che la deroga non si applica se la presenza degli utenti è virtuale. Dunque, varrà la regola generale ex art. 7-ter del DPR 633/72 (luogo di stabilimento del committente).  Tale criterio è stato, peraltro, anticipato dalla risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 409/2022, prima ancora dell'emanazione dello schema di D.Lgs.
  • Schema di D.lgs di adeguamento ai regolamenti 2018/1672/UE e 2021/776/UE, commentato in: “La stretta sul contante: nel mirino anche prepagate e titoli al portatore”, IlSole24Ore del 5.9.2024, pagina 30: Controlli sempre più stringenti in Dogana per il denaro contante in entrata o in uscita dai confini dell’UE pari o superiore a 10mila euro. Anche l’Italia si sta preparando ad adottare una definizione più ampia di «denaro contante» destinata a comprendere anche le carte prepagate. Soprattutto nell’ottica di prevenire trasferimenti illeciti di contante e quindi di evitare il rischio di riciclaggio e di finanziamento delle attività criminali, il decreto ridefinisce il perimetro del denaro contante a cui si applicano i limiti di trasferimento fuori e dentro i confini UE. Nella definizione rientrano la valuta, gli strumenti negoziabili al portatore, i beni utilizzati come riserve altamente liquide di valore e le carte prepagate. La stretta sulle prepagate che vengono, così, equiparate al denaro contante riguarda le carte non nominative «che contengono valore in moneta o liquidità o vi danno accesso ovvero che possono essere usate per operazioni di pagamento, per l’acquisto di beni o servizi o per la restituzione di valuta, qualora non collegata a un conto corrente». Le indicazioni del regolamento puntano a rendere più serrati i controlli (e delle relative conseguenze) contro chi non dichiara il denaro oltre soglia in ingresso o in uscita dall’UE o a chi non adempie all’obbligo di informativa per denaro contante non accompagnato, ossia il «denaro contante che rientra in una qualsiasi tipologia di spedizione ovvero in un plico postale o equivalente senza una persona fisica che lo porti con sé, nel bagaglio o nel mezzo di trasporto». Tra le novità previste, c’è anche quella relativa al «trattenimento» degli importi non indicati.
  • DL n. 113 del 9.8.2024 (c.d. DL "Omnibus"), commentato in:

    - “Il regime dei neo residenti non perde attrattività”, Il Quotidiano del Commercialista del 2.9.2024: Con l’art. 2 del Decreto-legge in oggetto, la misura dell’imposta sostitutiva dovuta annualmente dai soggetti che esercitano l’opzione per il regime agevolativo previsto dall’art. 24-bis del TUIR passa da 100.000 euro a 200.000 euro, con effetto dai trasferimenti della residenza ai sensi dell’art. 43 del codice civile operati dall’11.8.2024. Questa novità “balneare”, a una prima analisi, non dovrebbe pregiudicare in modo decisivo l’attrattività dell’agevolazione, in special modo per le persone con redditi e patrimonio alti o molto alti. Il punto critico della modifica legislativa è, naturalmente, rappresentato dalle tempistiche, in quanto il raddoppio della misura dell’imposta sostitutiva grava sui soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia, ai sensi dell’art. 43 del codice civile, dall’11.8.2024. Nulla cambia, quindi, per le persone che hanno in passato esercitato l’opzione (o che la eserciteranno nel modello REDDITI 2024, a fronte di un trasferimento di residenza avvenuto nel 2023), per le quali l’onere continua a essere quantificato in 100.000 euro per ogni anno sino a scadenza. Per i trasferimenti operati nel 2024, invece, fermo restando che le agevolazioni spetteranno solo dal 2025, coesisteranno due regimi distinti: (i) i soggetti che hanno trasferito la residenza anagrafica entro il 10 agosto continueranno a pagare 100.000 euro per ogni anno; (ii) per i soggetti che, invece, hanno trasferito la residenza anagrafica dall’11 agosto la misura del tributo è raddoppiata.

    - “Frontalieri svizzeri, nuova flat tax al 25%”, IlSole24Ore del 15.8.2024, pagina 21: L’articolo 6 del decreto in oggetto introduce, a decorrere dal periodo d’imposta 2024, un nuovo regime fiscale opzionale per una specifica categoria di lavoratori frontalieri residenti in alcuni comuni italiani compresi nella zona di 20 km dal confine svizzero, i quali svolgono la propria attività di lavoratore dipendente nell’area di frontiera svizzera per un datore di lavoro residente nel Paese elvetico. Si tratta, in particolare, dei contribuenti residenti nei comuni italiani situati nei pressi della Svizzera che in base al nuovo Accordo tra l’Italia e la Svizzera sull’imposizione dei lavoratori frontalieri del 23.12.2020 (che si applica dal 1.1.2024) sono considerati “frontalieri”, pur non essendo stati tali in precedenza. Infatti, l’elenco dei comuni per l’attribuzione della qualifica di frontaliere non era contenuto nel precedente Accordo, ma veniva elaborato dai cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese. I beneficiari del nuovo regime, in luogo della tassazione progressiva ai fini Irpef con diritto al credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero (prevista dal nuovo Accordo per i “nuovi frontalieri”), potranno optare per la tassazione dei redditi di lavoro dipendente prodotti in Svizzera applicando un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali pari al 25% delle imposte pagate nel Paese elvetico su tali redditi, senza diritto al credito d’imposta. In tal modo, il carico fiscale complessivo gravante su tale categoria di lavoratori è assimilabile a quello che trova applicazione nei confronti dei “vecchi frontalieri”, ai quali invece si applica il regime transitorio disciplinato dall’art. 9 del nuovo Accordo, in quanto residenti nei comuni che, sia in passato che nel nuovo Accordo, permettono l’applicazione del regime di tassazione riservato ai frontalieri. L’esercizio dell’opzione comporta inoltre l’obbligo del versamento alla regione di residenza di una quota di compartecipazione al Servizio sanitario nazionale in base alle disposizioni contenute nell’art. 1, co. da 237 a 239 della Legge di bilancio 2024. Il 20% di tale onere è detraibile dall’imposta sostitutiva dovuta.
     

Giurisprudenza


  • Sentenza Cassazione, Sez. Pen., n. 23628 del 12.6.2024, commentata in "Principi “danesi” per il rimborso dei dividendi madre-figlia", Il Quotidiano del Commercialista del 4.9.2024: La Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha stabilito che, al fine di provare la natura di beneficiario effettivo della società non residente che ha richiesto il rimborso della ritenuta sui dividendi subita in Italia ai sensi dell’art. 27-bis del DPR 600/73, occorre effettuare tre test a cascata: (i) il “substantive business activity test”, finalizzato a verificare che la società svolga un’attività economica effettiva e non rappresenti una costruzione artificiosa; (ii) il “dominion test”, che valuta la capacità della società di disporre liberamente dei redditi percepiti, senza che vi siano obblighi di rimettere il flusso reddituale a un terzo; (iii) il “business purpose test”, che verifica le ragioni economiche dell’interposizione della società percipiente nel flusso reddituale. Nel caso giunto a sentenza è stato dimostrato, in particolare, il “dominion test” e il fatto che la società non residente trattenesse per sé una parte significativa dei dividendi, senza obblighi di ritrasferimento a terzi, pur se esistevano fenomeni di compensazione per cui una parte dei dividendi non veniva materialmente pagata. La sentenza in oggetto estende, quindi, ai dividendi i principi più volte espressi in relazione agli interessi e alle royalties infragruppo.
  • Sentenza Cassazione, Sez. V Civ., n. 20002 del 19.7.2024, commentata in "Esterovestizione a prova stretta per la residenza di società estere", IlSole24Ore del 23.8.2024, pagina 25: Risulta sempre delicato comprendere quale possa essere la residenza fiscale di società estere che il fisco italiano può contestare ritenendo che la stessa sia da attribuire all’Italia. Ciò anche in casistiche di gruppi societari che abbiano delle controllate all’estero. Con la nuova nozione di residenza fiscale delle società (art. 73 co. 3 del TUIR) valevole dal 2024, viene amplificato il ruolo che riveste, nell'attribuzione della residenza, lo svolgimento in loco delle attività di direzione e di amministrazione. Non può, quindi, dirsi residente in Italia una società di diritto estero per il solo fatto che essa sia controllata da una società italiana. Con la sentenza in oggetto, la Cassazione ha confermato la tesi del fisco, che aveva contestato la residenza fiscale di una società residente in Romania controllata da una società italiana. L’AdE aveva considerato la società esterovestita per il periodo 2009, ovvero residente in Italia sulla base del vecchio criterio fondato sulla sede dell’amministrazione, ex articolo 73, co. 3 del TUIR nella versione ante modifiche della legge delega fiscale. L’aspetto importante ribadito dalla Cassazione consiste nel riaffermare un principio importante, cioè che la sede dell’amministrazione non può coincidere sic et simpliciter con il luogo in cui viene svolta la direzione e il coordinamento da parte della controllante. Tale principio può essere derogato solo se la controllante assume il ruolo di vero e proprio "amministratore indiretto" della controllata, usurpandone l'impulso imprenditoriale.
  • Sentenza Trib. Catanzaro n. 1178 del 6.6.2024, commentata in "Amministratore non sempre responsabile per non aver predisposto il bilancio", Il Quotidiano del commercialista del 2.9.2024: Il Tribunale di Catanzaro, nella sentenza in oggetto, si è occupato del tema della responsabilità dell'amministratore di srl nei confronti della società, ribadendo la natura contrattuale dell'azione e fornendo indicazioni sull'onere della prova gravante sulla parte attrice, in considerazione degli addebiti mossi all'amministratore. Si osserva, in primo luogo, come la mancata predisposizione del bilancio e successiva convocazione dell'assemblea di approvazione costituisca una irregolarità non necessariamente comportante un danno patrimoniale alla società, di tal che la responsabilità dell'amministratore è esclusa laddove la parte attrice, come nel caso di specie, non abbia allegato, né provato, il danno arrecato all'ente. Con riguardo al rimborso del finanziamento soci - che il socio-amministratore convenuto aveva disposto in proprio favore - il Tribunale precisa che esso è postergato solo nel caso in cui le condizioni di cui all'art. 2467 c.c. sussistano sia nel momento in cui il finanziamento è stato erogato, sia nel momento in cui viene richiesto il rimborso, non rilevando eventuali e successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società, laddove il finanziamento sia stato concesso a quest'ultima in condizioni fisiologiche. Resta fermo che l'onere di provare la sussistenza di tali presupposti grava sulla parte che intenda far valere la postergazione.

Prassi

  • Risposta ad istanza di interpello n. 172 del 20.8.2024, commentata in "Adesione e conciliazione: interessi passivi deducibili", IlSole24Ore del 21.8.2024, pagina 23: Gli interessi passivi pagati sulla base di atti di conciliazione tributaria o di accertamento con adesione per il ritardato versamento dell’Ires e dell’Irap sono deducibili dal reddito d’impresa nel loro ammontare complessivo, anche se sono collegati a imposte non deducibili. In sostanza, secondo l’AdE, «gli interessi passivi correlati alla riscossione e all’accertamento delle imposte non differiscono in nulla da qualsiasi altro onere collegato al ritardo nell’adempimento di un’obbligazione e rientrano quindi nell’ambito applicativo proprio della categoria degli interessi passivi (...) separandosi inevitabilmente dal regime impositivo del tributo cui accedono». La risposta riguarda la deducibilità ai fini Ires. Per quanto riguarda l’Irap, si può fare riferimento alla risoluzione 228/E/2007, la quale ha escluso che siano deducibili dal valore della produzione delle imprese industriali e commerciali in quanto imputate a voci del conto economico non rilevanti ai fini Irap. Va inoltre ricordato che gli interessi da ritardato versamento di imposte devono ritenersi estranei all’ambito di applicazione meccanismo di parziale indeducibilità di cui all’articolo 96 del Testo unico perché non nascono da rapporti di finanziamento posti in essere volontariamente. La risposta in oggetto è particolarmente importante perché, con essa, l’AdE ribadisce il proprio consolidato orientamento nonostante una discussa sentenza della Cassazione (n. 28740/2022) abbia espresso l’opposto convincimento che gli interessi in discussione non siano deducibili in quando accessori al tributo versato tardivamente.
  • Risposta ad istanza di interpello n. 165 del 1.8.2024, commentata in “Trust, retrocessione irrilevante: non c’è arricchimento gratuito”, IlSole24Ore del 2.9.2024, pagina 20: Può capitare che i beneficiari di un trust desiderino unanimemente che lo stesso non prosegua. A tal fine, se i beneficiari del trust sono una classe chiusa e definita, possono porre fine anticipatamente al trust con una decisione unanime. In caso contrario, essi possono, però, rinunciare alla posizione beneficiaria, determinando la conseguente necessità, per il trustee, di dichiarare la cessazione del trust per impossibilità sopravvenuta di perseguirne la finalità. Per quanto concerne le conseguenze fiscali di questa situazione, l'AdE le ha esaminate in diversi documenti, l'ultimo dei quali è stata la risposta n. 165/2024 che ha esaminato proprio un caso di rinuncia alla posizione beneficiaria. Come in precedenti pronunciamenti (risposte a interpello n. 106/2021 e n. 352/2021, oltre alla circolare n. 34/E/2022), l’AdE ha affermato che la retrocessione ai disponenti dei beni dai medesimi apportati al trust non integra il presupposto impositivo dell’imposta sulle successioni e donazioni di cui all’art. 1 del TUS, difettando un trasferimento di ricchezza, che è il presupposto che legittima l’imposizione. In merito l’autore rammenta la non condivisibile conclusione alla quale giunsero l’AdE con la risposta n. 352/2021, secondo la quale l’irrilevanza fiscale delle riattribuzioni del fondo in trust al disponente trova applicazione solo nel caso in cui «la revoca del trust sia totale, che lo stesso cesserà di esistere e che i beni immobili restituiti ai disponenti siano i medesimi beni immobili segregati in trust e, specificamente, che gli immobili conferiti da ciascun disponente ritorneranno nella proprietà di ciascuno di essi». La bozza del D.lgs di modifica del TUS, nella versione su cui il 24.7.2024 il Parlamento ha emesso il suo parere favorevole non vincolante, chiarisce definitivamente anche tale aspetto. Il nuovo articolo 4-bis, al comma 1 prevede che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione e donazione, i trust rilevano «in quanto idonei a determinare arricchimenti gratuiti dei beneficiari». La nuova disposizione fa così chiarezza definitiva sul fatto che, quando il beneficiario è lo stesso disponente, i trasferimenti a suo favore sono fiscalmente irrilevanti e ciò a prescindere dal fatto che l’oggetto di retrocessione al disponente siano gli stessi beni da lui in origine istituiti in trust ovvero altri per effetto della gestione del fondo in trust. La retrocessione di tale patrimonio al disponente, in quanto è anche beneficiario o per altre ragioni, non comporta infatti mai un arricchimento gratuito del disponente.

Dottrina


  • Per i proventi da fondi pensione esteri si guarda al contesto convenzionale”, Il Quotidiano del Commercialista del 6.9.2024: Le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia sono chiamate a una serie di valutazioni preliminari relative al proprio patrimonio e ai propri redditi, al fine di ottimizzare le ricadute fiscali derivanti dal possesso ovvero dal realizzo di investimenti esteri. Particolare attenzione va riservata al caso dei fondi di previdenza complementare esteri. A livello convenzionale, le erogazioni di pensioni ricadono nell’ambito di applicazione dell’art.18 del modello OCSE, il quale prevede che le pensioni e le altre remunerazioni analoghe percepite da un soggetto residente in uno Stato contraente in relazione a un cessato impiego siano imponibili solamente nello Stato di residenza del contribuente. I redditi derivanti da fondi di previdenza complementare italiani vanno considerati quali redditi assimilati a quello di lavoro dipendente, ex art. 50 co. 1 lett. h-bis) del TUIR. In tal caso, le erogazioni (sia sotto forma di rendita che di capitale) scontano, al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a tassazione nelle fasi di contribuzione e di accumulo, una tassazione del 15%, ridotta di 0,3 punti percentuale per ogni anno di partecipazione al fondo oltre il quindicesimo, con un'aliquota minima applicabile del 9% (art. 11 co. 6 del D.Lgs. 252/2005). Il regime riservato ai fondi di previdenza italiani si estende a quelli istituiti nell'Unione Europea che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2016/2341/UE, e che risultano autorizzati dall'Autorità competente dello Stato membro di origine allo svolgimento dell'attività transfrontaliera (art. 52 co. 1 lett. d) TUIR). Tuttavia, l'Autore osserva che, secondo l'interpretazione restrittiva fornita dall'Amministrazione finanziaria (cfr. risposta a interpello n.5 del 11.1.2024), tale regola vale limitatamente alle adesioni effettuate nel territorio della Repubblica ed alle risorse accumulate e gestite in relazione a tali adesioni. Da ultimo, nel caso di erogazioni a beneficio di persone fisiche residenti in Italia e derivanti da fondi di previdenza svizzeri AVS e LPP (c.d. primo e secondo pilastro), occorre riferirsi allo specifico trattamento disciplinato dall’art. 76, co. 1-ter, della L. 413/91, che prevede una tassazione sostitutiva del 5%.
  • Trust, possibile pagare l’imposta in entrata”, IlSole24Ore del 17.8.2024, pagina 19: L’alternativa tra la possibilità di tassazione immediata dell’apporto di patrimonio al trust e l’applicazione dell’imposta di donazione nel momento in cui il trustee effettua la distribuzione del patrimonio ai beneficiari è senz’altro la novità più interessante in questo ambito nel decreto sulle imposte indirette diverse dall’IVA approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri il 7.8.2024. In sostanza, su opzione del contribuente, la tassazione potrà tornare “all’antico” e cioè si potrà scegliere di pagare l’imposta di donazione nel momento di dotazione del trust. In origine, l’AdE sposò la tesi dell’applicazione della tassazione nel momento in cui il trust veniva dotato di patrimonio e della neutralità del momento di uscita del patrimonio. Questa posizione è stata progressivamente ribaltata dalla Cassazione, alfine giungendo a decidere la neutralità, per qualsiasi tipo di trust, del momento di «entrata» di beni e diritti e la rilevanza del momento in cui i beneficiari effettivamente ottengano un incremento del loro personale patrimonio. Quest’ultimo orientamento è stato recepito nella circolare 34/2022 con la quale, però, l’AdE ha aggiunto una previsione di applicazione «in entrata» dell’imposta di donazione e, cioè, nel caso in cui «i beneficiari individuati (o individuabili) siano titolari di diritti pieni ed esigibili, non subordinati alla discrezionalità del trustee o del disponente, tali da consentire loro l’arricchimento e l’ampliamento della propria sfera giuridico-patrimoniale già al momento dell’istituzione del trust». Pur restando il problema di capire se quest’ultima posizione sarà da intendere superata, vi è da rilevare che la riforma cambia nuovamente lo scenario: ferma la regola generale della neutralità «in entrata» e della tassazione «in uscita», viene introdotta la possibilità per il disponente (oppure per il trustee) di versare l’imposta di donazione in modo volontario al momento dell’apporto al trust (oppure all’apertura della successione), con il fine di consentire ai contribuenti una programmazione fiscale dotata del requisito della certezza. Al riguardo, viene previsto che, in caso di opzione per la tassazione «in entrata», se i beneficiari non sono individuati si applica l’aliquota più elevata (attualmente sarebbe l’8%) senza tener conto di alcuna franchigia. Per evitare incertezze interpretative sugli effetti del pagamento anticipato, è espressamente sancito dalla bozza di riforma che l’imposta pagata dal disponente (o dal trustee in sede di dichiarazione di successione) deve considerarsi a titolo definitivo e che, d’altro canto, l’imposta versata “in entrata” non è richiedibile a rimborso, neanche nel caso in cui non si realizzi il trasferimento del patrimonio del trust a favore del beneficiario. La possibilità di opzione per il pagamento anticipato dell’imposta riguarda anche i trust già istituiti.

Attualità


  • Volvo rivede i piani: abbandonato l’obiettivo di passaggio totale all’elettrico entro il 2030”, IlSole24Ore del 5.9.2024, pagina 6: Anche Volvo getta la spugna e annuncia che non riuscirà a centrare entro il 2030, come annunciato in precedenza, l’obiettivo di diventare una casa automobilistica «totalmente elettrica». Volvo Cars prevede che per quella data offrirà ancora alcuni modelli ibridi nella sua gamma; l’obiettivo è avere almeno il 90% delle auto vendute completamente elettriche, oppure ibride plug in, mentre una quota fino al 10% sarà relativa ai cosiddetti «mild hybrid», dove l’energia elettrica integra l’azione del motore termico. Le azioni della società, quotate a Stoccolma, hanno perso ieri oltre il 5% dopo l’annuncio della ridefinizione degli obiettivi. Le principali case automobilistiche hanno assistito negli ultimi tempi a un rallentamento della domanda di veicoli elettrici, in parte a causa della mancanza di modelli accessibili e della lenta implementazione dei punti di ricarica. La domanda di auto elettriche si sta raffreddando in Europa, dopo che paesi come Germania e Svezia hanno cessato o ridotto i sussidi, e questo ha spinto molti produttori ad abbassare le loro ambizioni sui veicoli elettrici.  Volvo Cars, in particolare, si sta anche preparando all’impatto del conflitto commerciale globale legato ai sussidi cinesi. L’azienda produce modelli elettrici in Cina che rischiano ora di essere colpiti dalle tariffe imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Volvo Cars, che ha anche tagliato posti di lavoro in Svezia per ridurre i costi, ha affermato che la revisione del piano al 2030 risponde alle mutevoli condizioni del mercato e alle richieste dei clienti, ma che questi cambiamenti non influenzeranno gli investimenti dell’azienda in auto completamente elettriche. Entro il 2025, Volvo Cars prevede che le auto elettrificate, sia completamente elettriche che ibride, rappresenteranno tra il 50% e il 60% dei volumi di vendita. L’obiettivo precedente per il 2025 prevedeva almeno il 50% per cento di auto completamente elettriche, con il resto ibride.
  • Componentisti auto, in Italia uno su due rischia di finire in crisi”, IlSole24Ore del 1.9.2024, pagina 5: Che la transizione verso l’auto elettrica sarebbe stata complicata, soprattutto per l’industria della componentistica italiana, lo avevano previsto tutti gli analisti e gli imprenditori dell’automotive. Non è una sorpresa che la crisi dei produttori e i piani di ristrutturazione di questi mesi stiano avendo ricadute pesanti su tutta la filiera, nel breve periodo e in prospettiva. Solo due dati: a gennaio-maggio 2024 la produzione di componentistica è scesa del 18%. Tra gennaio e luglio 2024 le ore di Cig erogate nel settore automotive (produttori e fornitori) sono salite del 18%. Non è un temporale passeggero. Uno studio di AlixPartners per Anfia (l’associazione dei componentisti) e Ucimu (l’associazione delle macchine utensili) ha previsto che nel 2030 l’industria italiana della componentistica auto potrebbe perdere 7 miliardi di valore della produzione e tra 20 e 40mila posti di lavoro. Fino a 18mila posti nelle imprese che avranno cali di fatturato, fino a 20mila addetti nelle imprese che saranno investite da crisi, una su due. Una situazione che assume aspetti ancor più preoccupanti se si considera che oggi il 60% delle imprese del settore presenta una situazione finanziaria solida. Nonostante la robustezza del settore, l’evoluzione del mercato è stata per certi versi più sfidante di quello che gli analisti pensavano quando è stato introdotto il bando al motore termico, con una serie di fattori di rischio che si sono dimostrati più impattanti del previsto.
  • Svizzera: il dilemma dell’accordo di libero scambio con la Cina”, IlSole24Ore del 23.8.2024, pagina 11: Dopo dieci anni di vita l’accordo di libero scambio tra Svizzera e Cina, a suo tempo salutato come un modello apripista per l’Europa, avrebbe bisogno di un aggiornamento. Berna e Pechino concordano sulla necessità. Ma il contesto geopolitico è molto cambiato negli ultimi anni e ora anche la Svizzera, neutrale politicamente e intraprendente di suo sul piano economico, sente il peso dello scontro tra Stati Uniti e Cina. L’obiettivo di Berna è continuare naturalmente a collocarsi tra le democrazie occidentali, mantenendo però buoni rapporti economici anche con il gigante cinese. Le tensioni tra Usa e Cina rendono tuttavia più complicato il percorso. Non c’è il rischio di un annullamento dell’esistente accordo svizzero-cinese. Però c’è il rischio concreto che trovi molti ostacoli il tentativo di ampliamento di questa intesa. Non solo, c’è anche il rischio che le imprese svizzere, in assenza di miglioramenti nei rapporti tra Usa e Cina, siano chiamate in futuro a scegliere tra gli uni e l’altra, cosa spiacevole considerando l’importanza di entrambi mercati. Prigioniera nel mezzo di guerre commerciali altrui, insomma, questo è il rischio per la Svizzera. Come d’altronde per alcuni aspetti anche per l’Unione europea che, pur allineandosi con Washington sta cercando di tenersi canali economici aperti con Pechino.
  • Cancellazione dal registro imprese, cessazione automatica dell’attività”, IlSole24Ore del 19.8.2024, pagina 16: L’impresa individuale che si cancella dal Registro imprese deve prima presentare il modello per la cessazione dell’attività, perché la cancellazione non equivale alla cessazione. È la tesi della Camera di commercio di Brescia, che sta quindi sanzionando molte imprese per la mancanza del doppio adempimento. A nulla, peraltro, rileva il parere contrario del Ministero dello Sviluppo economico, che, infatti, ha chiarito che l’istanza di cancellazione comporta l’impossibilità per l’impresa di continuare a svolgere le attività economiche, precedentemente esercitate. Ne consegue l’esecuzione d’ufficio da parte dell’ente di tutti gli adempimenti connessi. In altri termini, secondo il Mise (di concerto con Unioncamere), con la richiesta di cancellazione tutte le attività che l’impresa svolgeva presso localizzazioni economico-amministrative, sia nella provincia di iscrizione, sia fuori, cessano automaticamente, senza necessità dell’ulteriore denuncia di cessazione.



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